C’era una volta
un nibbio dalla voce stonata.
Ogni giorno cantava dalla mattina alla sera insieme ad altri uccelli.
Tra quelli lui era il peggiore.
Cercava un’altra voce ma non la trovò.
Era un bel giorno di primavera.
Il nibbio se ne stava
tranquillamente appollaiato sopra un ramo di faggio, riparato dalle fresche
fronde della pianta.
Inaspettato, giunse un cavallo accaldato che, cercando un po’ di refrigerio,
andò a riposarsi all’ombra dell’albero. Sdraiandosi con l’intenzione di fare un
sonnellino, l’equino, inavvertitamente si punse con un cardo spinoso e, dal
dolore, lanciò un lungo e acutissimo nitrito.
“Oh, che meraviglia!” esclamò il nibbio con entusiasmo. Questa è la voce che
andrebbe bene per me: acuta, imponente e inconfondibile!”
Il nibbio cominciò da quel mattino ad esercitarsi nell’imitazione di quel verso
meraviglioso. Provò e riprovò scorticandosi la gola, ma inutilmente.
Quando, dopo molti tentativi senza successo, si rassegnò a tornare alla sua voce
originale, ebbe una brutta sorpresa: gli era sparita a furia di sforzarla!
Così dovette accontentarsi di emettere un suono insignificante e rauco per tutta
la vita.
(da Esopo)